L'inversione termica ai Piani di Pezza

L’Associazione AQ Caput frigoris, attiva da oltre dieci anni soprattutto sul territorio abruzzese, si prefigge l’osservazione e lo studio di differenti aree climatiche con precipuo interesse verso quelle zone che presentino microclimi particolari e/o fenomeni di marcata manifestazione termica. Tra tali ultimi, degno di attenzione è il comprensorio dei Piani di Pezza, nel comune di Rocca di Mezzo (AQ), altopiano carsico-alluvionale ad un’altitudine compresa tra 1.450 e 1.535 metri.

E’ proprio qui, durante la stagione invernale, quando le molte ore di oscurità permettono una dispersione di calore maggiore, che si possono verificare delle possenti inversioni termiche al contestualizzarsi di specifiche situazioni. Talvolta esse ingenerano curiosità, se non incredulità (il luogo è pur sempre nel cuore del Mediterraneo, zona dal clima mediamente temperato), riferendocisi alla rilevazione del dato di temperatura minima al primo mattino. Esemplificativa l'immagine seguente.


Nell’altopiano di Pezza, il fenomeno in argomento si rende possibile:

A - Per l’adatta morfologia del terreno e per l'orografia, condizioni che permettono un più facile ristagno dell’aria fredda negli strati prossimi al suolo, proprio perché il raffreddamento dello strato d’aria più vicino al terreno comporta inversione di gradiente termico verticale.
A tal proposito, giova evidenziare o rammentare che:
- il g.t.v. è il tasso di diminuzione della temperatura riferito ad un certo tratto di altezza;
- la temperatura diminuisce quasi regolarmente di circa 0.7° ogni 100 metri di altezza;
- l’irraggiamento notturno del suolo è un aspetto tipico dei più bassi strati della troposfera;

B - Per la lontananza dal mare e da isole di calore, tanto da beneficiare sia dell’assenza di brezze costanti (che notoriamente non facilitano il dissipamento dello strato di aria sovrastante il suolo), sia di quanto indotto da eventuali contributi antropici (cemento, traffico, abitazioni riscaldate) forieri, come purtroppo spesso accade, di forme di inquinamento. In tale contesto, la strumentazione per il rilevamento dei dati è posizionata al centro del corrispondente catino naturale, più o meno equidistante dai circostanti pendii presso cui, sovente, si attivano correnti e/o refole;

C - Al verificarsi di concomitanti condizioni atmosferiche:
- cielo sereno (preferibilmente in regime altopressorio);
- ventilazione blanda, o meglio assente, che andrebbe a rimescolare in caso contrario lo strato d’aria prossimo al terreno;
- presenza di un uniforme strato di neve al suolo, auspicabile in concomitanza di ondate di freddo, in grado di amplificare la perdita di calore notturna.

Da osservazioni effettuate negli anni, si può affermare che presso il luogo monitorato è possibile ’’l’abbassamento della temperatura reale di oltre 30° rispetto alla temperatura presente nel momento dell’evento a 850 hPa’’. A titolo di esempio, con un’isoterma di meno 3°, a 850 hPa, è possibile il raggiungimento di una temperatura minima di – 33°.

Valga, anche come ricordo, quanto verificatosi nel febbraio 2012, allorchè furono registrati – 37,4° con l’isoterma di meno 5° contestualmente presente all’altitudine di riferimento di circa 1.500 metri. Al fine di meglio comprendere il suddetto fenomeno e per rendere il più possibile partecipi tutti gli appassionati, si porranno di seguito tre normali interrogativi, cercando di semplicizzarne le relative risposte ed enunciando alcune caratteristiche tipiche - osservate dopo il calare del sole, durante le ore notturne e fino all’alba - in una classica giornata da ‘’inversione termica’’.

Lo schema sotto riportato (riferito alla nottata tra il 16 ed il 17 gennaio 2019 in cui lo scorrimento di blande coperture nuvolose, presentatesi dalla mezzanotte, non hanno purtroppo consentito il completamento della dispersione termica limitando, di fatto, l’osservazione), è esemplificativo degli andamenti registrati ed evidenzia "un alternarsi a denti di sega", rilevabile dal grafico delle temperature: tale ‘’alternarsi a denti di sega’’ è sintomatico delle gelide nottate in cui si osserva una marcata dispersione.

Da una disamina del grafico, si evince che, non appena la zona monitorata entri in ombra, la temperatura subisce da subito un crollo repentino in genere sotto l’azione di venti di media / bassa intensità (tale tipo di riduzione termica è segnatamente osservabile, come innanzi accennato, dal tardo pomeriggio e fino alle prime ore della sera), per poi continuare a diminuire costantemente, anche se a fasi alterne, ma per molte ore.

Dalle 22 alle 7 circa (gli orari sono puramente esemplificativi potendosi, pur comunque, quasi sempre confermare), invece, si assiste ad un incessante alternarsi di variazioni, ma sempre in un contesto di riduzione termica generale.

1. Da cosa dipende questo diverso modo di riduzione della temperatura?
La curiosità di capire perché ciò accada è stata soprattutto supportata, nel tempo (prima che l’Associazione installasse una webcam presso il Rifugio del Lupo – struttura ospitante la strumentazione ricettiva), da numerosi e talvolta severi sopralluoghi, effettuati a tarda notte ovvero di primissimo mattino. Ebbene, in tali circostanze ciò che non mancava mai era la presenza di una nebbia gelida da irraggiamento, finissima quanto mai ‘’importante’’ per spiegare il fenomeno. Con il raffreddamento del terreno, infatti, l’aria fredda tende a ristagnare ed essendo più pesante vi rimane letteralmente incollata fino a quando, con la successiva condensazione dell’umidità, determina la formazione di quel banco di nebbia, più o meno esteso, che poi risultava ben visibilmente appurabile ad occhio nudo, nella sua integrità, alle prime luci del giorno.

2. Cosa si verifica all’interno del banco di nebbia?
Presupposto cardine è quello per cui all’interno del banco di nebbia l’aria è in costante scorrimento. All’interno della conca, la temperatura non è uniforme e, a seconda della bolla d’aria che passa nei pressi della stazione meteorologica, la temperatura sale e scende in un contesto termico sempre teso alla diminuzione: il grafico è tanto più seghettato, pertanto, quanto maggiore è il numero di bolle di differente temperatura insite nel banco di nebbia generatosi. Ovviamente, altro ‘’ingrediente’’ auspicato per una intensa dissipazione del calore è la presenza della coltre bianca, intesa in senso di uniformità oltre che di quantità. L’osservazione capillare ha peraltro confermato la diversa incidenza dell’intensità del bianco della neve rispetto alla sua capacità di albedo.

3. Come si manifesta l’effetto albedo e quanto incide nella dissipazione del calore il bianco della neve?

Come ai più noto, un oggetto di colore scuro si scalda maggiormente rispetto ad uno di colore chiaro: i colori tenui tendono a riflettere la luce, all’opposto di quelli scuri che, di contro, la assorbono. L’effetto albedo è la riflessione dei raggi solari indotta dalla neve e si manifesta, dal terreno verso lo spazio, per mezzo della perdita di quel calore che la terra riceve dal sole e che poi viene ‘’restituito’’ agli strati sovrastanti per conduzione e convenzione. Dopo una nevicata la terra rimane coperta dalla coltre caduta, quindi non riesce a scaldarsi; la neve, inoltre, avendo un colore chiaro, non immagazzina calore e non consente alla temperatura di alzarsi più di tanto nello strato d’aria che immediatamente sovrasta la neve stessa. Fattore non secondario è costituito, inoltre, dalla caratteristica termica della neve avendo essa pur sempre una temperatura più fredda rispetto a quella del terreno cui fa praticamente ‘’da isolante’’ (più è alto lo spessore della neve è più sarà apprezzabile l'effetto isolante; vedi immagine a lato): all’atto dell’inizio della ‘’fenomenologia albedo‘’, dunque, si avrà sempre un valore di temperatura basale più basso. In merito al colore ‘’in senso stretto’’ della neve al suolo, nei giorni a ridosso della nevicata il manto è integro, puro: l’albedo sarà quindi pressochè totale; con il passare del tempo e senza ulteriori precipitazioni sul preesistente manto, si osserverà un decadimento della lucentezza del bianco. Le impurità o pulviscoli nell’atmosfera declasseranno il biancore iniziale; le particelle più scure presenti nella neve assorbiranno meglio i raggi del sole tanto che, inevitabilmente, si avrà un effetto albedo che si ridurrà di circa 1/3 rispetto a quello reazionato dalla prima neve.


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